SALERNO DIVENTO’ IL TEATRO DELLA “GRANDE POLITICA” di Ernesto Scelza

(“La città di Salerno”, 2 dicembre 2014, p. 42)

Quella sera in cui Enrico Berlinguer iniziò a parlare dal grande palco eretto in Piazza della Concordia a Salerno, erano in molti ad avvertire che quello sarebbe stato un discorso in qualche modo ‘storico’.

Già la piazza era straordinaria. Un immenso tappeto di persone. Vecchi militanti e tanti giovani, non tutti sempre ben disposti verso il segretario del Pci. Anzi, erano stati in molti, negli anni precedenti ad averlo criticato per quella sua ostinazione a ricercare un accordo con la Democrazia cristiana, a perseguire l’intesa ‘strategica’ del ‘compromesso storico’: una riedizione della vecchia alleanza tra le forze che avevano sconfitto il fascismo e dato l’avvio all’esperienza repubblicana. Certo, nel corso del tempo si era staccato il Psi, il rappresentante politico di una delle componenti, quella socialista, che secondo la lezione di Togliatti avevano contribuito a fondarla, la Repubblica democratica, e a scrivere una delle Costituzioni più avanzate del mondo occidentale. Ma quella piazza, quella sera, dava il senso che il ‘popolo comunista’ era ancora vivo e avrebbe rilanciato il ruolo egemone del grande partito della classe operaia. E dei ceti medi progressivi, come si diceva. Tanto più che Piazza della Concordia era riuscito a riempirla soltanto Giorgio Almirante. Negli anni settanta, quando Salerno era al centro di un tentativo della borghesia del Sud di creare una alternativa di destra al ciclo di lotte che si sviluppava da un decennio nel Paese. E che imponeva uno sbocco radicale. Molti, soprattutto le organizzazioni della Nuova Sinistra, pensavano che fosse possibile dar vita, sulla spinta di quelle lotte, ad una originale esperienza rivoluzionaria in Italia, un’esperienza tutta ancora da pensare. E il Pci vi aveva visto l’occasione di chiudere la fase aperta con la strategia elaborata da Togliatti: una strategia di allargamento progressivo della partecipazione democratica delle masse. Con il Pci a raccoglierne le istanze e rappresentarle proprio nel quadro istituzionale definito dalla Costituzione. Non aveva costruito, il Pci, una democrazia ‘progressiva’? Non aveva elaborato, il Pci, una strategia delle ‘riforme di struttura’? Fin dai primi suoi congressi del dopoguerra? Per difendere questa politica, i militanti del partito si erano anche scontrati con quegli stessi giovani che sapevano loro figli, ma che con le forme e gli obiettivi della loro azione politica rischiavano di compromettere la realizzazione della trama che il ‘Partito nuovo’ aveva iniziato a tessere fin dai primi giorni dopo il ritorno in Italia di Palmiro Togliatti.

Nella primavera del ’44, il mitico ‘Ercoli’ era giunto a Napoli con in mente un progetto chiaro, che scontava,da subito, il quadro internazionale che si sarebbe realizzato solo dopo la sconfitta del nazifascismo. Gli ‘accordi’ di Yalta, nel febbraio dell’anno successivo, ne avrebbero confermato il lucido realismo. Pure in un quadro di divisione del mondo in ‘sfere di influenza’, come si dirà. E Togliatti quella strategia, quella trama l’aveva esposta proprio da Salerno, al tempo della ‘svolta’, quando invitò le forza antifasciste a mettere da parte la pregiudiziale antimonarchica per consentire l’unità che avrebbe sconfitto il fascismo. Se ne sarebbe parlato dopo la liberazione di Roma, dopo la vittoria ottenuta, con un referendum popolare che avrebbe scelto la forma dello Stato. E sarebbe stata l’esperienza costituente a cementare l’alleanza democratica delle forze antifasciste.

A dire il vero, Togliatti avrebbe voluto che l’unità tra ‘le grandi componenti della democrazia italiana’, comunista, socialista e cattolica, fosse stata anche più ampia e più solida di quanto poi non si dimostrerà. Ma avrebbe richiesto un coraggio e una autonomia che il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, capo indiscusso della Dc, non si sentì di garantire. Quell’alleanza non resse alla ‘guerra fredda’. De Gasperi, nel gennaio del ’47, mentre ancora fervevano i lavori della Costituente, si recò negli Usa per ottenere gli aiuti americani che implicavano una condizione: la fuoriuscita dal governo di comunisti e socialisti. Il presidente Henry Truman, il presidente della Guerra Fredda, aveva posto il ricatto.

L’Italia era a pezzi e De Gasperi non se la sentì di resistere alle pressioni internazionali. Rilanciate da noi dai vertici della Curia romana.

Togliatti non glielo perdonerà mai. Anche se l’estromissione dei comunisti attese l’estate del ’47 per realizzarsi, dal giorno stesso del ritorno di De Gasperi dagli Usa iniziò ad attaccare, con asprezza, il capo Dc. E arrivò a rinfacciarglielo, il suo scarso coraggio politico. Ricordandogli che lui, ‘Ercoli’, che aveva trascorso i lunghi anni dell’esilio nella Urss staliniana, il coraggio di dar vita in Italia ad una esperienza originale di democrazia avanzata l’aveva. Mentre il capo cattolico non riusciva nemmeno a resistere alle pressioni di una rinvigorita destra confindustriale che imponeva Epicarmo Corbino ministro del Tesoro. Né ai ricatti di Truman.

Si apriva, così una lunga fase di lotte per strappare, pezzo a pezzo, spazi di democrazia e conquiste per i lavoratori.

Da questo punto di vista a Berlinguer era andata meglio. Come interlocutore del suo ‘compromesso storico’ aveva incontrato Aldo Moro, che di intelligenza politica e di coraggio ne aveva da vendere. Ma il suo rapimento e la sua uccisione avevano decretato la fine di quel disegno, la sconfitta di quel progetto di innovazione. Si spegneva, per l’Italia e per sempre, la prospettiva della grande politica. E sarebbe  presto venuto avanti il ‘patto del CAF’, con il quale Craxi, Andreotti e Forlani aprivano l’epoca del riflusso politico e della corruzione dilagante.

Eppure, quella sera, a Salerno, Enrico Berlinguer tentò ancora un rilancio della politica ‘in grande’. In una terra segnata dal terremoto del 23 novembre, Berlinguer abbandonò definitivamente la politica di alleanza con una Dc oramai assimilata all’affarismo e alla pura gestione del potere e annunciò che avrebbe lavorato per costruire una alternativa ai governi a guida democristiana. Riprese tutti i temi della denuncia della sua famosa ‘questione morale’ e parlò dei valori di cui le classi lavoratrici erano portatrici.

Parlò alla testa e al cuore di quelle decine di migliaia di giovani e di vecchi militanti. Che con gli occhi umidi guardavano l’orizzonte del mare che iniziava a scurirsi.