NOTA SULLA LEZIONE DI TOGLIATTI di Piero Lucia

Ardua l’operazione di tentare un tratteggio, seppure assai parziale, di una personalità poliedrica e complessa come quella di Palmiro Togliatti.

Troppe le vicende, del movimento operaio italiano ed internazionale, che lo hanno visto protagonista di rilievo in snodi decisivi della storia del secolo passato. La figura dell’uomo, in più occasioni, anche drammatiche, s’interseca e si confonde con la storia più generale dell’Italia e con la battaglia per la democrazia.

Scelta obbligata, quindi, quella di concentrarsi su poche, limitate questioni dirimenti.

Togliatti ha vissuto la fase convulsa dei primi anni ’20, dell’occupazione delle fabbriche a Torino, dell’ “Ordine Nuovo” e dei Consigli, poi quella  dell’avvento in Italia del fascismo, con cui si scontrerà anche più avanti, nella guerra civile spagnola del 1936-1939, che vedrà opposte in Europa, per la prima volta, le forze internazionali della reazione e dell’antifascismo. E’ comunque nella vicenda specifica italiana che sono rintracciabili le scelte strategiche essenziali, frutto di analisi feconde, segno di intuito finissimo, e di genialità, protese a realizzare sbocchi originali per il successivo sviluppo della storia nazionale.

Durante una pagina assai buia della nostra ancora giovane storia nazionale, verso la conclusione del secondo conflitto mondiale, opta per la necessità di produrre un’accelerazione della lotta antifascista, contro la crudele occupazione militare nazista del Paese. La vera priorità da perseguire, la piena riconquista della libertà e della democrazia, può realizzarsi con successo solo con l’impegno coeso ed unitario di tutte le forze antifasciste presenti nel paese. Nessun interesse di parte può prevalere a fronte dell’interesse nazionale.

A fronte di questo obiettivo superiore, andavano accantonati differenziazioni e contrasti, interni al grande fronte unitario e antifascista, che andava consolidato e messo in campo, senza ulteriori dilazioni. Preliminare ed obbligata condizione, questa, per perseguire con successo l’obiettivo.

L’ampia alleanza avrebbe dovuto dispiegarsi in un fronte unico e compatto, dai monarchici ai liberali, ai repubblicani ed al Partito D’Azione, fino ai cattolici, ai socialisti, ai comunisti.

Una linea che verrà perseguita, con lungimiranza e con determinazione estrema, vincendo in varie circostanze interne riserve e opposizioni, del Partito D’Azione e di frange socialiste estremizzanti in special modo, piuttosto riluttanti all’idea di allargamento dell’intesa a formazioni d’ispirazione non repubblicana.

La lotta politica esplicita, che si manifestò in quello snodo, vide alla fine prevalere l’impostazione di Togliatti, protesa a delegare, per il momento almeno, sullo sfondo, nette diversità interne al grande fronte antifascista. Ora sarebbe stato possibile produrre l’accelerazione necessaria, con il passaggio, dopo l’ondata degli scioperi nelle industrie del Nord, all’insurrezione ed alla lotta armata contro l’occupante. Una volta liberato dalla belva nazista sanguinaria il suolo della Patria, ci si sarebbe potuti concentrare sull’assetto istituzionale futuro del Paese.

E’ “La Svolta”, la fase in cui individuare le vere radici di una trama, che poi proseguirà e si preciserà- per ulteriori approfondimenti successivi- per confluire in un unico, organico programma compatto e razionale.

Una volta liberata in via definitivala Nazione, potrà ritenersi finalmente compiuto “ il secondo risorgimento nazionale”.

Una libera consultazione, sancita da un referendum popolare, avrebbe consentito agli italiani l’opzione trala Repubblicaela Monarchia.Inquel passaggio decisivo Togliatti diede prova, insieme, di forte duttilità ed estrema determinazione. Liquidati, in via definitiva, ideologismi e rigidità di segno opposto, infisse e radicate nella storia del primo Novecento, comunque destinate a riprodurre, persistendo, colpevoli, dannosi e laceranti immobilismi. Un pensiero politico, dinamico ed incisivo, s’affermava.

Ridare libertà alla Nazione, quindi, realizzare una democrazia di nuovo corso, da lungo confiscata, che andava innervata ulteriormente, riempita d’innovativi e più aggiornati contenuti.

Lo Stato futuro non sarebbe in alcun modo risultato la pallida replica della trascorsa e fallimentare esperienza liberale. Uno Stato che si era rapidamente sfarinato, inerte di fronte all’avanzata del Fascismo.

La Costituzioneavrebbe riassunto, nell’essenza, i capisaldi, di linee e di programmi, contrassegnata dall’avvento delle masse nella Storia. Sarebbe stata riedificata, su nuove fondamenta,la Nazione.Venivatracciato, in questo modo, un nuovo sentiero di sviluppo, su cui incardinare l’idea, profondamente innovativa, della “democrazia italiana progressiva”.

Un percorso che prevedeva l’attiva ed insostituibile funzione delle grandi masse popolari, di differenti ispirazioni, ideali e culturali, rimaste troppo spesso, fino ad allora, ai margini della vita dello Stato, in una funzione passiva e subalterna. Per prima cosa, con lo sforzo comune, andava ricostruitala Nazione, uscita dalla guerra sommersa di rovine.

L’avvento sulla scena di un “Partito nuovo” e nazionale, profondamente innervato in tutte le pieghe della società italiana, doveva contagiare anche le altre formazioni, aprendo la società e la politica italiana allo sviluppo della partecipazione popolare, cosciente e organizzata, alla vita pubblica. Doveva instaurarsi una democrazia di tipo nuovo, pulsante e progressiva, più solida e robusta che, agendo senza steccati e pregiudizi, consentisse un fecondo confronto tra forze politiche ed ideali di diversa ispirazione.

Multipartitismo, centralità del Parlamento, tolleranza religiosa, certezza dello Stato di diritto e sua laicità. Un insieme di opzioni in grado in tal modo di evitare, preventivamente, il riprodursi di nuove ed aggiornate involuzioni autoritarie, fasciste e reazionarie. Il popolo sarebbe diventato il vero, invincibile presidio della democrazia.

Andava al contempo seccamente limitato l’annoso potere del grande capitale industriale e agrario, in larga misura responsabile della rovina in tempi recenti vissuta dal Paese.

Una democrazia che sarebbe poi avanzata, per balzi successivi, ampliando ulteriormente gli ambiti di libertà goduta. Veniva in emersione l’eco dei grandi valori di libertà, eguaglianza e di fraternità della rivoluzione francese, già assunti e fatti propri dalle nazioni più avanzate ed evolute dell’Europa.

Percorsi non rettilinei e facili da potersi realizzare, la cui attuazione sarebbe stata più volte ostacolata dall’emersione  di forti opposizioni e resistenze.

E tuttavia, nel mondo bipolare che nasceva, nell’immediato, secondo dopoguerra, a tale opzione non c’era senza dubbio alternativa. Fortissimo emergeva, infatti, il condizionamento stritolante di un mondo già diviso verticalmente in due potenti e contrapposti blocchi antagonisti ed in Italia la breve stagione della collaborazione tra forze distinte ben presto si concluse.

Il percorso politico tracciato da Togliatti doveva inoltre dispiegarsi collegandosi nell’alveo della storia nazionale, delle sue specificità originali.

Il concetto di “democrazia, nuova e progressiva” doveva snodarsi ulteriormente nell’azione di lunga lena, quotidiana e sistematica, per la diffusa crescita del grado di cultura nazionale, in specie delle classi subalterne. Un obiettivo, questo, di rilievo assolutamente decisivo.

Togliatti individuava, con lucida nettezza, l’obbligo di agire ricercando tutte le condizioni di un’alleanza nuova tra il mondo del lavoro con le sue avanguardie e gli intellettuali più avanzati, su questo specifico terreno più sensibili.

Risulterà così sempre assai forte ed efficace l’attenzione rivolta al ceto diffuso degli intellettuali italiani fuoriusciti dalla lunga notte della dittatura. Lucida l’acuta comprensione della decisività del terreno, specificamente culturale ed ideale, su cui innestare, senza dilazioni, un confronto ed una lotta politica feconda. Il suo richiamo agli intellettuali,  al loro irrinunciabile obbligo di non restare indifferenti rispetto ai destini della Patria, ed al loro dovere di mischiarsi concretamente con la vita pratica, rinunciando a posizioni astratte, di mera, ininfluente contemplazione del reale, rievocano una lezione precedente e assai importante. Era stato Antonio Gramsci ad analizzare, con estrema accuratezza, questo tema sia ne “ Gli Intellettuali e l’Organizzazione della Cultura” che nello scritto su “La  Questione Meridionale”, opere d’importanza decisiva che inizieranno a circolare, in modo più diffuso, solo nell’immediato, secondo dopoguerra.

Il grande teorico e dirigente sardo aveva ricostruito, in maniera puntigliosa, fin dall’origine, la genesi e la storia, insieme  alla funzione, dei ceti intellettuali nazionali, col ruolo troppo spesso regressivo da essi esercitato. Un lascito, teorico e politico, di estremo rilievo, su cui Togliatti innesterà scelte politiche, d’azione ed organizzazione conseguenti.

Nessuna delle formazioni politiche del tempo mostrerà identica attenzione, la stessa capacità di egemonia e di presa rispetto alla formazione diretta da Togliatti. E d’altronde parliamo, oltre che di uno straordinario dirigente politico, anche di un intellettuale finissimo.

Il percorso intrapreso si rivelerà, fin da subito, in più occasioni, piuttosto accidentato, affatto lineare e sgombro di problemi. Assai noti, per doverci ritornare, i termini dello scontro che opporrà Togliatti ( e Mario Alicata) ad Elio Vittorini e al “ Politecnico”, accusati dal “ Migliore” di eccesso di astrattezza e di forzata propensione, “…al diverso, al nuovo, al sorprendente…”, insieme alla replica stizzita di Elio Vittorini circa l’indisponibilità a esercitare una funzione dell’intellettuale subalterna, protesa a risolvere il suo ruolo nel “suonare il piffero per la rivoluzione”.

Un contrasto che poi proseguirà, a ondate successive, in specie ma non solo, in occasione dei tragici fatti d’Ungheria della fine del 1956.

Sul tema specifico particolarmente feconda e lungimirante risulterà la scelta di dotarsi di una serie di strumenti in grado di promuovere un confronto ed un dialogo, costante e sistematico, tra le diverse posizioni in campo. Il Partito, su impulso di Togliatti, non a caso sceglierà di dotarsi di più strumenti e mezzi, dalla rivista teorica “Rinascita”, a “ Società” a “ Il Contemporaneo”, fino a riviste specialistiche, quali “ Critica Marxista”, “ Studi Storici”, “ Politica ed Economia”, per citarne solo alcune.

Ed estrema attenzione verrà rivolta alle Case Editrici, da Einaudi e Laterza innanzi tutto, fino alla decisione della creazione di una Casa Editrice in prevalenza di Partito, gli “Editori Riuniti”.

Identica cura sarà rivolta agli insegnanti della scuola ed ai professori dell’Università, un insieme di forze destinate, nella visione del “ Migliore”, a risultare decisive nel percorso di rinnovamento della cultura nazionale. La società italiana iniziava finalmente ad affrancarsi dall’involucro roboante, retorico ed asfissiante diffuso per venti anni a piene mani dal fascismo. E, passo per passo, cominciava a definirsi, in maniera più precisa, il ruolo e la funzione di un Partito, nazionale e popolare, agente in stringente sintonia con la società italiana. Prendeva forma e consistenza quel Partito “ intellettuale collettivo”, d’ispirazione gramsciana, che aveva il compito primario di operare per  trasformare nel profondo la realtà. Un Partito che, aprendo le sue porte, aveva tra i suoi obblighi quello di svolgere, con assiduità, una costante funzione pedagogica, educando alla democrazia innanzi tutto i suoi aderenti. Con la direzione di Togliatti, il PCI svilupperà la propria rete organizzata in ogni Comune della Repubblica italiana, battendosi con tenacia per il lavoro, l’occupazione, lo sviluppo del Mezzogiorno e dell’Italia intera, al fianco dei popoli in lotta nei più diversi punti del globo contro il colonialismo, per l’indipendenza nazionale, in difesa del valore supremo della Pace. Particolarmente appassionata l’azione contro il rischio di un nuovo scontro combattuto col le armi nucleari, prodromo della scomparsa dell’umanità. Una forza disciplinata e coesa, con una propria organizzazione radicata nelle fabbriche, nelle campagne, negli uffici, nei posti di lavoro, nei punti di produzione diretta del sapere. Una formazione, di lotta e di combattimento, tesa ad affermare un concetto dilatato dei diritti, da quello essenziale del lavoro, a quello dello studio e dell’accesso alla cultura per tutti. E’ il segno di una sfida straordinariamente appassionata e affascinante.

Il grosso dell’intellettualità italiana, tranne rarissime eccezioni, era passata nel tunnel del “Lungo Viaggio attraverso il fascismo”, come aveva efficacemente ricordato Ruggero Zangrandi nel titolo di un libro illuminante, e si era reso responsabile di “Nicodemismo”, ovvero di subalternità colpevole al potere costituito, e fortissima appariva l’esigenza, individuale e collettiva, di praticare un profondo lavacro purificatore.

Troppo spesso gli intellettuali erano caduti nella rete di propaganda, tessuta con maestria, da capi eminenti del fascismo quali Bottai che, con la sua rivista “ Primato” era a lungo riuscito a spuntare le funzioni della critica, svolgendo verso i ceti intellettuali un ruolo di attrazione e di collante. Troppe le arrendevolezze, gli opportunismi, i contorsionismi praticati, la passività e la colpevole acquiescenza.

E, in specie, ma non solo nel Mezzogiorno del Paese, si trattava finalmente di affrancarsi, dalla pesante e pervasiva eredità di Benedetto Croce e di Giustino Fortunato, iniziando a fuoriuscire dall’involucro, seppure prestigioso, che pur tuttavia ormai li contraeva. Gli intellettuali, da quel momento in poi, sarebbero transitati in massa, e in larga prevalenza,  nell’attiva milizia e nelle fila di quel Partito Nuovo, di massa e popolare, estremo e di rottura, tra tutte le formazioni il più coerente nella feroce lotta mortale contro il nazifascismo.

Ed altresì importante il concorso all’azione intrapresa, da parte di Togliatti e del suo Partito, volta a “sprovincializzare” la cultura nazionale. Sono anni di esperienze di autentica avanguardia, dal cinema italiano neorealista innanzi tutto a svariate esperienze di produzione più squisitamente letterarie e artistiche, di rilievo europeo e mondiale.

S’iniziava a dare vita ad una rete palpitante, di democrazia partecipata, che avrebbe dovuto radicarsi, in maniera capillare, in ogni comune, di piccole e di grandi dimensioni, coprendo il territorio dell’Italia intera.  Il Partito che nasceva vedeva costituita la sua forza nell’unità degli operai, dei contadini, del mondo del ceto medio e delle professioni, negli intellettuali d’avanguardia dei più disparati segmenti del sapere. Una formazione di cui non c’era mai stata in precedenza traccia.

Disciplina, rigore, serietà, pretesi da ogni singolo aderente del Partito, ad ogni livello dell’organizzazione. L’orgoglio di essere, su questo piano, qualcosa di ben distinto e di diverso, dai tanti fattori devianti manifestati altrove. Un segno antesignano, allora come oggi, della centralità della questione morale segno di discrimine essenziale da mostrare con orgoglio nella quotidiana, corrente attività, nella politica, in ogni distinta espressione del lavoro umano e della vita.

Per competere, con successo, con l’organizzazione pervasiva del partito cattolico e della stessa Chiesa bisognava, a giudizio del leader comunista, costruire “una sezione per ogni campanile”. Espressione, questa, particolarmente efficace e sinteticamente riassuntiva di una stringente volontà volta a ricondurre ad unità teoria e pratica, il pensiero e l’azione.

L’attenzione allora fu rivolta, in misura obiettivamente sbilanciata, in modo largamente prevalente, all’intellettualità di estrazione umanistica e retorica, nel mentre risultò piuttosto residuale il rilievo riservato alle forze di formazione tecnica e scientifica. Una scelta destinata a pesare col tempo, negli anni che verranno, in maniera piuttosto negativa.

Alcuni importanti limiti e ritardi nella tempestiva comprensione degli indirizzi assunti dalle rivoluzioni scientifiche e tecnologiche che si realizzeranno, decisive nel definire nuove gerarchie tra le Nazioni, possono essere individuate nelle scelte a quel tempo effettuate e poi di frequente nell’immediato futuro replicate.

I nuovi livelli, vertiginosi, assunti dalla globalizzazione, avrebbero causato trasformazioni sconvolgenti.

Togliatti è stato lucido e freddo capo del movimento comunista mondiale, custode di segreti, anche tragici ed agghiaccianti, della stagione cupa dello Stalinismo. Al contempo finissimo e lungimirante dirigente politico, che ben comprese come non potesse essere esportato, in maniera dogmatica e meccanica, in altre distinte situazioni, segnate da uno sviluppo della Storia differente, un unico modello, rigido ed esclusivo.

E’ nel testamento di Yalta che verrà inequivocabilmente esplicitata l’idea della pluralità delle strade percorribili atte a realizzare il Socialismo, della sua inscindibilità, nella realtà italiana, dalla Democrazia. Esempio illuminante di un’interpretazione, creativa e originale, dei testi del marxismo. Un processo da realizzare a tappe successive, per mezzo di progressivi avanzamenti.

A Palmiro Togliatti va infine riconosciuto un grande merito, probabilmente tra tutti il più importante. Anche nei momenti più aspri e difficili, si pensi solo alle giornate immediatamente susseguenti l’attentato di cui fu vittima nel Luglio del 1948, nel suo pensiero non finirà mai per prevalere l’opzione per facili e assai rischiose scorciatoie, dello scontro armato tra forze contrapposte, ed anzi verrà sempre perseguita, con grande disciplina, la prassi del confronto e della lotta democratica,da sviluppare, insieme nel Parlamento e nel paese. L’unica strada per davvero feconda e percorribile. In Italia non si assisterà alla replica dell’epilogo della tragica vicenda greca.

Più avanti nel tempo, nei decenni seguenti, una crisi progressiva, acuta e devastante, investirà il sistema edificato dal “ Socialismo Reale”. I processi di grave burocratizzazione e di rigidità, le limitazioni gravi della libertà dei cittadini saranno alla base dell’implosione del 1989.  All’improvviso, e repentinamente, in quell’anno di svolta della storia del Mondo scompariva, per interna, fatale consunzione, il tentativo di affermare, col dogma conficcato nel reale, un grande ideale generoso. Troppe e gravi le deviazioni, e i drammi che si sono consumati dentro quel recinto, in specie ma non solo dell’Europa. E tuttavia l’idea di libertà, di maggiore equità, di più ampia giustizia sociale, le sue dilatazioni, in ogni contrada degli angoli del mondo, sussistono vitali, come inalienabili valori da difendere. Potentissime lobby finanziarie al giorno d’oggi in larga parte detengono il potere nelle proprie mani, condizionando fortemente i destini del Pianeta. Quante differenze, tra diverse Nazioni e nei singoli paesi, più che ridursi, si sono accentuate! Oggettivamente perciò i grandi principi originari continuano a risultare di grande attualità.

L’azione di Togliatti in difesa della pace, nel paese e nel mondo, la lotta per una più ampia giustizia e libertà, è segno di una storia, individuale e collettiva, che persiste. Un tratto distintivo della democrazia repubblicana, con tanti sforzi e sacrifici edificata. Una costruzione robusta che Palmiro Togliatti ha concorso in maniera decisiva a edificare, il tratto distintivo di un impegno, intelligente, appassionato, generoso, per tante ragioni da mantenere attuale nel cuore pulsante e più profondo del Paese.